Nel mezzo
del cammin di nostra vita mi son ritrovato a settantacinque anni senza
accorgermene nemmeno.
Potrei
dire “Maremma Maiala” ma non risolverei proprio niente, infatti un son più nì mezzo
del cammino, ma ho imboccato una ripida discesa.
Quante
cose non dette, quante cose non fatte, quante cose che avremmo voluto dire ma
non abbiamo più la possibilità per mancanza dell’interlocutore.
Cosi in
maniera pindarica vorrei chiedere scusa a mio padre di una cosa che mi è
tornata a mente solo in questi giorni.
Chi mi
legge potrebbe dire: “Un tu lo potei far prima” è vero! Ma rispondo che avevo
circa quattro anni e il ricordo mi è apparso all’improvviso dalla nebbia del
tempo.
1945 la
guerra stava per finire, o era già finita, esterno giorno, in una terrazza di
via del Ponte di Mezzo al terzo piano del civico 29, da lassù vedevo (con
l’aiuto di un binocolo che il babbo mi aveva passato) un campo sterrato laddove
oggi c’è un quartiere in via Forlanini.
Non so
spiegare né il perché né il per come, in quel campo c’erano militari con il
turbante in testa che giocavano con una palla fatta di stracci, solo oggi so
che erano le truppe indiane a seguito dell’esercito inglese, quindi era
sicuramente passato il 25 aprile e capisco l’euforia che regnava in casa mia e
nel casamento.
Dopo
questo preambolo arrivo al dunque, avevo visto da qualche parte un cavallo a
dondolo forse nella famiglia Gestri o Lironi, quelli dell’ultimo piano, due
famiglie certamente più abbienti della mia.
Rimasi
incantato dalla bellezza e dai colori di questo giocattolo e mio padre
evidentemente aveva captato questo mio desiderio.
Quindi,
da una vecchia porta che c’era nel giardino sottostante quello di Amelia, se la
fece dare e con la sega, chiodi e martello ne costruì uno.
Una volta
cavalcato il manufatto mi resi conto che standoci seduto, che il sottile
spessore dell’asse s’infilava proprio in mezzo alle mie giovani natiche con il
conseguente dolore.
Inoltre
il suo color celestino indaco non mi piaceva per niente, poi il babbo aveva
disegnato con il lapis gli occhi di questo cavallo bruttissimo, appena sceso
dalla cavalcatura lo guardai schifato e cominciai un dialogo con mio padre:
- Ti piace
Antonio?
- No!!
- Perché?
- Perché c’ha gli occhi di lapis!
Solo oggi
mi rendo conto della delusione di quell’uomo che si era fatto in quattro per
accontentare il proprio e unico figlio, non l’avevo notato allora, me ne rendo
conto oggi pensando a quando smontava il suo manufatto, con una certa rabbia.
Allora
oggi dico scusa babbo Giordano.
Firenze
il 01.01.2018
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