CHI SONO

Mi chiamo Antonio Maoggi sono un fiorentino nato sotto le bombe dell’ultima guerra, da ragazzo avevo grandi sogni di scrivere, ma bisognava andare a lavorare per aiutare la famiglia e, questo è successo, però la passione è rimasta, ma lavoro, famiglia e figli me lo hanno impedito. Una volta libero come pensionato ho preso carta, penna ed ho cominciato a scrivere e non mi sono fermato più e tutt’ora sto scrivendo l’ultimo racconto. I miei lavori sono tutti inseriti in questo blog in basso sulla fascia lateralmente a destra e, se qualcuno fosse interessato, basta che lo comunichi, e tramite mail che vorrete cortesemente comunicarvi, invierò gratuitamente il racconto in formato PDF, poiché scrivere è fantastico, ma essere letto lo è ancora di più! mascansa@outlook.it

giovedì 17 agosto 2023

IL CORAGGIO DELLE PROPRIE AZIONI

I Fascisti siano essi neri, bianchi o gialli, negano sempre le nefandezze che hanno fatto, si nascondono, cambiano nome,  Otto Adolf Eichmann è l'esempio di un criminale nazi fascista  che si è nascosto come uno scarafaggio in Argentina, allora domandiamoci: se erano tanto convinti di quello che facevano, perché non l'hanno rivendicato?!

Confessione dell'assassino di Ernesto Guevara

Nel soggiorno della sua casa non c'è un solo ritratto di lui nel suo tempo nell'esercito boliviano. Sul tavolino di fronte al divano dove si siede c'è una foto di famiglia. Lì si può vedere un nonno Mario Terán, circondato da figli e nipoti, in un evidente atteggiamento patriarcale. Sono passati 47 anni e il sergente Teran, che è andato in pensione come sottufficiale anziano e ora ha 72 anni, gioca a nascondino con le parole. È lui. Non è lui. Verità. Mentire. Questa è stata la sua vita dal 9 ottobre 1967, quando tutto è accaduto. Ecco perché una bugia, che viene immediatamente rivelata, ci ha portato alla sua fortezza di barre verdi. Al primo, Don Mario nega Granma, il giornale cubano che aveva gridato al miracolo: i medici della rivoluzione restituiscono la visione in Bolivia all'uomo che ha ucciso il Che. "No, no... Non è che dicono di avermi restituito la vista. Falso. Non ero cieco, avevo una semplice cataratta e, come potete vedere, mi hanno lavato, hanno lasciato il mio occhio rosso destro". Trattenendo con calma lo sguardo, sbattendo appena le palpebre, cerchiamo di vedere nel soldato accovacciato che siede a poco più di un metro da noi quel sergente della confessione scritta. Il mandato che ha dato testimonianza segreta della superiorità del giorno del massacro nella miserabile scuola di La Higuera dove l'eroe della rivoluzione cubana ha trovato le sue ossa, e il suo sangue, nel terreno: "Quando sono arrivato, il Che era seduto ... Quando mi vide, disse: "Sei venuto per uccidermi". Mi sentivo impacciato e abbassai la testa senza rispondere. Non osavo sparare. In quel momento ho visto il Che grande, molto grande. Mi sentivo come se si stesse gettando su di me e quando mi fissava avevo le vertigini. Pensai che con un rapido movimento avrei potuto portare via la pistola. "Metti giù il tuo corpo, ucciderai un uomo." Così ho fatto un passo indietro, verso la soglia della porta, ho chiuso gli occhi e ho sparato la prima raffica. Il Che cadde a terra con le gambe frantumate, contorte e cominciò a cospargere molto sangue. Ho recuperato il morale e ho sparato la seconda raffica, che lo ha colpito al braccio, alla spalla e al cuore..."

È vero che lei faceva parte del gruppo che ha arrestato il Che?

- Non è vero. C'erano due o tre Marios Teranes  nell'esercito, ma con cognomi materni diversi...

- In questi anni altri giornalisti, Jon Lee Anderson, il grande biografo del Che, sono venuti a cercare di parlarti...

- Forse, ma non ho mai avuto colloqui con nessuno...

D'altra parte, Douglas Duarte, arrivato dal Brasile, ha scritto che un giorno hai finito per riconoscere che è stato lui l'uomo che ha ucciso il Che, nonostante il fatto che per due giorni tu abbia sostenuto che il tuo nome era Pedro Salazar. Le ha anche detto: "Solo io so cosa vuol dire vivere con questo. Non posso e non voglio parlare".

Il Barone

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