Ci sono storie che vengono raramente raccontate.
Quella delle donne costrette a prostituirsi nei lager è una
di queste.
Si trattava per la maggior parte di giovani tedesche, ma vi
erano anche donne dell’Europa orientale. Praticamente nessuna superava i 25
anni di età.
Dislocate in nove bordelli, siti in altrettanti campi di
concentramento e sterminio, provenivano perlopiù dal lager di Ravensbrück e in
misura minore da Auschwitz.
Era stato Himmler in persona a decidere la destinazione di
specifici edifici all’interno dei lager a questo uso, convinto che la presenza
delle prostitute avrebbe migliorato la produttività di alcuni specifici gruppi
di internati. Sostanzialmente i nazisti riproponevano lo stesso schema già
usato dal 1939 in Germania e nei territori occupati, dove erano sorti bordelli
dedicati ai soldati della Wehrmacht e alle SS.
Le prime donne destinate alle case chiuse dei lager erano
spesso quelle internate precedentemente come “antisociali”. Molte di loro erano
costrette con la forza a prostituirsi, altre venivano blandite con promesse
relative a migliori condizioni di vita e più cibo; tutte erano prima oggetto di
violenze da parte di alcune SS che ne dovevano “saggiare” le “qualità
sessuali”.
Le giovani destinate ai bordelli dovevano comunque lavorare
per parte della giornata e se ricevevano dosi maggiori di cibo e migliori
condizioni di vita era solo perché servivano ad appagare gli istinti di chi le
utilizzava come strumenti di piacere.
Tutte le promesse legate alla loro liberazione venivano
sistematicamente disattese.
Oltre alle donne tedesche e dell’Europa Orientale vi erano
anche donne ebree, rom e sinti considerate particolarmente belle le quali
vennero selezionate al loro arrivo, non tanto per i bordelli comuni quanto per
essere date in pasto agli ufficiali delle SS che le utilizzavano come
prostitute personali, violando le leggi che proibivano rapporti con non ariani.
La morbosa osservazione dei corpi femminili durante le
ispezioni, gli esercizi fisici, perfino lo spionaggio delle attività sessuali
dei prigionieri, nei bordelli e nelle baracche, erano attività praticate
quotidianamente dalle guardie. Oltre alle ragazze avviate alla prostituzione,
molte donne e molti uomini furono costretti a concedersi ai propri aguzzini o
ad altri prigionieri solo per non venir malmenati o per ottenere quel poco cibo
necessario per sopravvivere.
Le prostitute dei lager difficilmente raccontarono la
propria storia, spaventate da una morale comune che avrebbe preferito additarle
come “puttane” più che come ennesime vittime della follia nazista.
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