CHI SONO

Mi chiamo Antonio Maoggi sono un fiorentino nato sotto le bombe dell’ultima guerra, da ragazzo avevo grandi sogni di scrivere, ma bisognava andare a lavorare per aiutare la famiglia e, questo è successo, però la passione è rimasta, ma lavoro, famiglia e figli me lo hanno impedito. Una volta libero come pensionato ho preso carta, penna ed ho cominciato a scrivere e non mi sono fermato più e tutt’ora sto scrivendo l’ultimo racconto. I miei lavori sono tutti inseriti in questo blog in basso sulla fascia lateralmente a destra e, se qualcuno fosse interessato, basta che lo comunichi, e tramite mail che vorrete cortesemente comunicarvi, invierò gratuitamente il racconto in formato PDF, poiché scrivere è fantastico, ma essere letto lo è ancora di più! mascansa@outlook.it

venerdì 28 novembre 2025

NOI LI CHIAMIAMO CON IL LORE NOME

 Caro Pietro Senaldi,

la sua dichiarazione – che più che un’opinione sembra un rigurgito ideologico in salsa padana – non meriterebbe risposta se non fosse che, sotto la patina del paradosso e del disincanto, trasuda un veleno ben più grave: quello del disprezzo razzista, del pregiudizio sociale, dell’ignoranza elevata a strumento di comunicazione.

Lei scrive – o forse vomita – parole che richiamano un’Italia che pensavamo superata, un’Italia spaccata, gerarchizzata, coloniale nel proprio immaginario. L’idea che i meridionali “possono anche morire di fame” se non si piegano alla logica del pendolarismo forzato, è un insulto non solo alla Costituzione – quella che all’articolo 3 garantisce l’eguaglianza e all’articolo 1 fonda la Repubblica sul lavoro – ma alla dignità stessa della persona.

Non c’è nulla di provocatorio o “liberale” nella sua esternazione. C’è solo un pensiero tossico, che costruisce l’identità di una parte d’Italia sul disprezzo dell’altra. Milano, la città che lei elegge a faro del progresso e del merito, non si eleva affatto con le sue parole. Al contrario: ne esce rimpicciolita, trasformata da capitale economica in colonia padrona, da crocevia cosmopolita in feudo arrogante.

Lei scrive che il Sud è “più vicino all’Africa che a Milano”. Una frase infelice, certo, ma soprattutto rivelatrice: nel suo mondo, “Africa” è sinonimo di inferiorità, di emarginazione, di zavorra da scaricare. Ma sa, caro Senaldi? Ci vuole ben più di una tastiera per riscrivere la geografia del cuore. L’Africa è madre, culla di civiltà. Milano, senza il Sud, senza i suoi figli, senza le braccia che hanno costruito metropolitane, case, fabbriche e uffici, sarebbe una città dimezzata, o peggio: vuota.

Parla poi con sarcasmo di affitti in nero, di sfruttamento, di spese alimentari: come se il precariato e la violazione dei diritti fossero una forma di ospitalità generosamente concessa. Ma lei non denuncia lo sfruttamento: lo legittima. Non combatte le disparità: le rafforza. Questo, caro Senaldi, non è giornalismo. È ideologia travestita da cinismo.

E a chi, come lei, pretende di indicare la rotta della modernità guardando con disprezzo al Sud, ricordiamo che l’emigrazione non è una scelta, ma spesso un obbligo. E che “spostarsi per lavorare” non è un dogma economico, ma una condanna sociale quando è l’unica via. La desertificazione umana e culturale del Mezzogiorno è figlia non della pigrizia, ma di politiche predatorie, di investimenti squilibrati, di una visione unitaria mai davvero compiuta.

Caro Senaldi, l’Italia che lei disprezza è anche l’Italia che paga il prezzo di un dualismo strutturale costruito proprio da chi pensa come lei. Ma si ricordi: i meridionali che emigrano non si “portano dietro quattro stracci”, come scrive con sprezzante ignoranza. Si portano dietro intelligenza, cultura, resilienza, e spesso una coscienza civile che manca a chi, come lei, ha fatto dell’arroganza un mestiere.

Aspettiamo che l’Ordine dei Giornalisti si esprima. Intanto, ci esprimiamo noi. E le diciamo che non siamo più disposti a tollerare la violenza delle parole. Il Sud non chiede pietà. Chiede rispetto. E da oggi, se non lo riceve, lo pretende.

Firmato:

Prof. Vittorio Politano



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