CHI SONO

Mi chiamo Antonio Maoggi sono un fiorentino nato sotto le bombe dell’ultima guerra, da ragazzo avevo grandi sogni di scrivere, ma bisognava andare a lavorare per aiutare la famiglia e, questo è successo, però la passione è rimasta, ma lavoro, famiglia e figli me lo hanno impedito. Una volta libero come pensionato ho preso carta, penna ed ho cominciato a scrivere e non mi sono fermato più e tutt’ora sto scrivendo l’ultimo racconto. I miei lavori sono tutti inseriti in questo blog in basso sulla fascia lateralmente a destra e, se qualcuno fosse interessato, basta che lo comunichi, e tramite mail che vorrete cortesemente comunicarvi, invierò gratuitamente il racconto in formato PDF, poiché scrivere è fantastico, ma essere letto lo è ancora di più! mascansa@outlook.it

sabato 13 dicembre 2025

E' CAMBIATO QUALCOSA VENTI ANNI DOPO?

Ho settantatré anni e per tutta la vita, a causa delle grandi potenze, ho vissuto nell'angoscia di un conflitto termonucleare. Tutto è cominciato dopo la seconda guerra mondiale con la guerra di Corea, poi con la crisi di Cuba e la baia dei Porci, poi c'è stata la tragedia del Vietnam, dopo che i francesi avevano tragicamente lasciato quella che loro chiamavano Indocina. Si è proseguito con l'invasione dell'Afghanistan da parte delle truppe russe. Poi ci sono state le primavere arabe, create dalle grandi potenze. Il denaro e le armi sono la vera religione della C.I.A., del K.G.B., l'Intelligence Service, e infine il Mossad per non parlare dei nostri servizi ultra-corrotti che, in sessant'anni di vita, hanno cambiato quattro o cinque sigle. Questo è il vero Satana che avvelena, giorno dopo giorno, noi poveri mortali. Una premessa: non faccio più il tifo per nessuno. Per me Obama, Hollande, Cameron, Merkel e Renzi, con tutta la compagnia dei nuovi leader degli ex paesi satelliti del Patto di Varsavia, sono vera monnezza. Infatti, ci riempiono ogni giorno di menzogne, aiutati dai pennivendoli della carta stampata e dai media ormai asserviti al potere di turno. Noi, poveri uomini, donne e bambini, insomma il popolo che lavora e produce, rimaniamo inermi di fronte a questo stillicidio continuo di notizie tragiche. D'altronde, cosa potremmo fare, se non qualche manifestazione in piazza, andandoci a prendere qualche manganellata? L'ultima notizia è quella dell'abbattimento di un bombardiere russo da parte della Turchia del fascista Recep Tayyip Erdoğan, in cui uno dei piloti è caduto in mano ai ribelli ed è stato trucidato. Quest'ultimo, morto, si aggiunge alla moltitudine di civili che muoiono ogni giorno in quei luoghi maledetti, molti dei quali sono bambini. Oggi Obama ha dichiarato che la Turchia ha tutto il diritto di difendere il proprio spazio aereo, mentre Putin ha affermato che il loro aereo si trovava nello spazio aereo siriano. Un vero e proprio caos, per non dire un casino: i Turcomanni sono alleati con i Turchi contro il PKK curdo, forse perché sono gli ultimi comunisti rimasti; Assad è amico di Putin e nemico di Obama. In un'accozzaglia di notizie e smentite in cui non si capisce più nulla, o forse si capisce anche troppo. Ho buttato giù queste righe di getto alla notizia dell'ultimo fatto, ma sento di dover dire ai miei concittadini che va bene piangere le vittime francesi, ci mancherebbe altro, ma dovremmo anche indignarci per tutte le vittime che i media non ci dicono. Le vittime sono vittime, non hanno né nazionalità né religione, quindi noi dobbiamo ribellarci con tutte le armi del pacifismo per combattere queste screditate superpotenze che ci hanno tenuto e ci terranno sulla corda fino alla nostra morte. Tanto sappiamo bene che il detto mussoliniano "Armiamoci e partite" è ancora valido ai giorni nostri: loro, i potenti, non muoiono, ma mandano a morire il popolo, come hanno sempre fatto, e questo dovrebbe finalmente farci riflettere tutti, a prescindere dal credo religioso o dalle appartenenze politiche, e spingerci a ribellarci a questo stato di cose.

Il Barone 24.11.2005


venerdì 12 dicembre 2025

BOXE CHE PASSIONE


La noble - art

L'arte del pugilato nell'antica Grecia (in greco antico πυμαχία, pygmachía, in latino pugilātus) è molto antica: le prime tracce della sua esistenza si trovano nell'Iliade, VIII secolo a.C. Tuttavia, vi sono buoni motivi per credere che il pugilato venisse praticato in tempi ancora anteriori.  Essendo la penisola ellenica, a quei tempi, frammentata in una serie di città-stato (le poleis), il pugilato veniva praticato da vari ceti sociali e in contesti differenti da città a città, a seconda delle usanze. 

Le fonti sull'argomento giunte sino ai giorni nostri sono perlopiù semi-leggendarie o assai frammentarie, rendendo difficile discernere il vero dal mitologico e ricostruire con buona accuratezza le regole, i costumi e la storia di questa attività.

Sicuramente, il pugilato prese piede in Grecia a partire dalle civiltà minoica e micenea, sotto il nome di pýx o pygmḗ, o anche πυγμή, pugme. Esistono diverse leggende sull'origine della boxe. Secondo una di queste, Teseo inventò uno sport nel quale due uomini, seduti l'uno di fronte all'altro, dovevano colpirsi con i pugni fino a quando uno dei due rimaneva ucciso o comunque impossibilitato a combattere. In seguito, tale tecnica venne sviluppata in modo da contemplare prima la postura eretta dei due contendenti e poi l'uso di guantoni, a volte muniti di borchie, e protezioni per i gomiti. Non era raro, però, assistere a combattimenti di uomini completamente nudi. Secondo l'Iliade, i guerrieri micenei includevano i tornei di pugilato fra le cerimonie per onorare i caduti in guerra, fra cui Patroclo, anche se non si può escludere che Omero abbia preso in prestito questa usanza da periodi più recenti. 

Proprio in onore di Patroclo, a partire dal 688 a.C., i Greci introdussero il pugilato (pygmḗ o pygmachía) nei Giochi Olimpici antichi: la prima medaglia fu vinta da Onomasto di Smirne.

Secondo Filostrato, la pygmachia si era originariamente sviluppata nella polis di Sparta, dove serviva a rendere gli uomini meno sensibili al dolore in caso di battaglia, dato che i guerrieri spartani non indossavano elmi. In ogni caso, la nobile arte non era considerata uno sport competitivo, soprattutto perché il combattimento tra due uomini prevedeva la sconfitta di uno dei due, cosa ritenuta altamente disonorevole nella cultura spartana. Si lottava per un po' di tempo e si smetteva quando entrambi i lottatori erano stanchi, senza che uno dei due venisse sconfitto.

Nelle antiche Olimpiadi, fino al 500 a.C. circa, gli atleti indossavano unicamente delle fascette di cuoio (chiamate himantes) avvolte attorno alle mani in modo da lasciare libere le dita. Ogni fascetta misurava dai tre ai tre metri e mezzo e veniva avvolta più volte attorno alle nocche, alle mani, ai polsi, alla parte superiore dell'avambraccio e alla base di ciascun dito.

A volte, anche il petto veniva fasciato con cuoio, mentre il resto del corpo era completamente nudo, fatta eccezione per un paio di sandali in alcuni casi. Intorno al 400 a.C. circa, vennero introdotti nella disciplina gli sphaîrai. Questi ultimi erano molto simili agli himantes, ma la fascia di cuoio di cui erano costituiti era affumicata su un lato, che doveva essere rivolto verso l'esterno, in modo da rendere il cuoio più duro e causare maggiori danni, e ricoperta da uno strato di imbottitura sull'altro lato, a contatto con la pelle in modo da evitare abrasioni o ustioni da sfregamento che avrebbero danneggiato sia il possessore dei guanti che l'incassatore dei colpi. Una versione ulteriormente efficiente degli sphaîrai erano gli oxýs, costituiti da una serie di tasselli di cuoio piuttosto spessi applicati su mani, polsi e avambracci. Sull'avambraccio veniva avvolta una fascia di lana per assorbire il sudore e, in corrispondenza delle nocche, vi erano dei rinforzi di cuoio indurito con bagni in acqua e sale per aumentare la potenza d'impatto.  I pugili greci si allenavano per gli incontri con dei sacchi riempiti di sabbia, farina o cereali, chiamati kṓrykos, molto simili a quelli utilizzati dai pugili moderni. Sebbene non esistano documenti scritti che attestino l'esistenza di un vero e proprio regolamento disciplinare del pugilato, è possibile tracciare una lista più o meno attendibile delle regole contemplate durante gli incontri in base alle raffigurazioni e alle fonti storiche pervenuteci.  Non era consentito fare delle prese;

Venivano accettate tutte le ferite da impatto, anche    quelle causate da colpi di striscio, mentre quelle inferte con le dita decretavano la squalifica;

Il ring era rappresentato dalla folla stessa che delimitava un cerchio attorno ai due sfidanti

L'incontro non era suddiviso in round né aveva limiti di tempo; i due sfidanti duellavano  fino a  a  arrendeva alzando il dito indice 
venivano selezionati tramite esstrazione Non esistevano categorie di peso: gli sfidanti 
qualunque trasgressore delle regole prefissate veniva punito con la fustigazione.

 

Fino a questo punto, le notizie sono state tratte da ricerche fatte su materiale cartaceo o sul Web. Mi preme però indicare, avendo vissuto in prima persona le leggende che si raccontano a bordo ring in attesa dell’inizio di una riunione pugilistica, che esporrò in tre punti:

 

  1. Si dice che il primo pugilatore in assoluto sia stato uno spartano di nome Korebo, molto forte, tanto da essere il primo e l'unico, senza avere avversari che lo impegnassero, forse ancor prima del 400 a.C. La sua egemonia durò finché Korebo morì in battaglia nel Peloponneso, da dove nacque il detto: "Se Atene piange, Sparta non ride", in quanto, nonostante la vittoria, Sparta ne uscì piuttosto malconcia.
  2. Si dice anche che, in un torneo, una dea si fosse travestita da ragazzino per umiliare i maschietti e che, durante il torneo, vinse, umiliando tutti. Il suo inganno fu scoperto dai direttori di gara che, da quel giorno, cambiarono il regolamento, imponendo che i pugili dovessero combattere a corpo nudo, in modo che fosse ben evidente il sesso.
  3. Naturalmente, essendo i pugili completamente nudi, in Grecia, che è notoriamente calda, dovevano cospargersi di una mistura di grasso animale e sabbia per ripararsi dai raggi solari. Questa poltiglia veniva chiamata calestro, forse, ma non ne sono sicuro, perché simile alla terra sabbiosa e scura dove venivano piantate le viti da vino.         

ORIGINI E DIFFUSIONE NEL MONDO

 

La tesi è stata redatta dall’arbitro internazionale Aldo Garofalo, dal presidente del Comitato Regionale Toscano Fiore Moretti e dal medico sportivo Piero Angioletti.


Le mani sono state le prime armi naturali a disposizione dell'uomo, quindi le più legittime. Probabilmente per questo motivo, fino all'epoca storica a noi tramandata, questa disciplina sportiva ebbe la priorità rispetto alla corsa e alla lotta. Inizialmente, del resto, non era certamente quello sport che conosciamo oggi, ma qualcosa di ben diverso, molto più vicino alle necessità e ai bisogni, anche psicologici delle società primitive. Questo sport ha avuto origine dal "pancrazio", un insieme di lotta e pugilato che si affermò gradualmente in Grecia fino a essere consacrato nella XXIII Olimpiade del 648 a.C. In quell'occasione, Onomaste di Smirne fu proclamato il primo campione olimpico, mentre l'ultimo fu un armeno di nome Varasdat. Apprezzato sia dai Greci che, successivamente, dai Romani, il pugilato era considerato un'arte di difesa personale. Metancomante fu famosissimo per la sua abilità nel vincere gli avversari senza colpirli, basando la sua tecnica su una guardia impenetrabile. Questa nuova disciplina ebbe una grande diffusione, tanto che nelle terme pubbliche si sentì la necessità di abbellirle e impreziosirle con scene di pugilato. Questi mosaici delle Terme di Caracalla, che testimoniano la diffusione a livello popolare, sono storicamente molto importanti perché ci mostrano una tecnica molto simile a quella attuale e rivelano quanto ingegno sia stato impiegato nella comprensione e nello studio di questa pratica sportiva. Essa tendeva già allora alla perfezione, insegnando non solo la difesa, ma anche l'offesa e il pugno da K.O. La stessa legislazione penale romana, come risulta dal Digesto di Ulpiano, si preoccupò di definire giuridicamente la casistica.

La legge di Aquileia stabiliva il risarcimento dei danni, escludendo il caso di morte avvenuta durante un incontro di pugilato. Ciò poteva accadere, dato che avambraccio e pugno erano protetti da strisce di cuoio rinforzate con elementi metallici “caestus”. Il combattimento proseguiva finché uno dei due contendenti non si arrendeva levando un braccio o finché uno dei due non veniva messo KO. Dopo la decadenza dell'Impero romano, si ebbe un lungo periodo di stasi. Il pugilato riappare in Inghilterra nel Rinascimento, ma i primi documenti risalgono al XVII secolo. I pugili si posizionavano piede contro piede in un cerchio di un metro di diametro e si colpivano a pugni nudi, senza poter uscire da quel ring così piccolo: è facile immaginare quanto potesse essere cruento e mortale. Nonostante ciò, si affermò come arte difensiva, tanto da meritare di essere inclusa nella "Noble art of self defense" di Tom Figg; è usuale, infatti, chiamarlo ancora oggi "nobile arte". Tom Figg era un maestro di scherma che insegnava una difesa mista di pugni e bastone e fondò un'associazione pugilistica, il "London Prize Ring", dotata di un regolamento che egli stesso rispettò nel 1719, quando vinse un combattimento e si laureò campione inglese di pugilato. Da allora fino al 1860 gli inglesi mantennero un predominio incontrastato, finché l'America non si affacciò sulla scena con John Carmel Heenan, di cui le cronache riportarono un pareggio non meritato nel combattimento che fece epoca con Tom Sayers. Un altro personaggio importante per la storia della boxe, dopo Tom Figg, fu Jack Broughton, campione dal 1734 al 1750, che gettò le basi del pugilato moderno con il "London Prize Ring Rules" del 1743”. Dopo l'incontro fatidico del 1860, gli americani impegnarono pochi anni a rendersi conto delle potenzialità del loro pugilato e dopo il 1873 con Tom Allen si procurarono e mantennero quasi incontrastati la cintura d'oro di campione del mondo.

Siamo ormai alle soglie del pugilato moderno. Pochi anni dopo, nel 1886, il governo inglese proibì la boxe. Non fu una scelta casuale o capricciosa. Bisogna ricordare che i combattimenti avvenivano a mani nude, senza limiti di tempo e con il diritto, per chi cadeva, di disporre di 30 secondi per rimettersi in condizione di continuare e di altri 8 per tornare al centro del ring.  È evidente quanta cura fosse dedicata al viso e alle mani per poter resistere ai colpi più violenti, basti pensare a Tom Cribb e come si tendesse a colpire le parti più molli. In queste condizioni, un incontro poteva durare molto a lungo, anche più di sei ore, come avvenne a Melbourne; l'ultimo campione del mondo, a pugni nudi, fu John Sullivan, che vinse su Jake Kilrain dopo un match di 2 ore, 16 minuti e 23 secondi. Si deve al marchese di Queensberry l'introduzione di norme per i combattimenti tra dilettanti, tra cui la suddivisione dell'incontro in round di 3 minuti intervallati da 1 minuto di pausa. Con il ritorno del professionismo e l'uso dei guantoni, J. Sullivan difese il suo titolo nel 1892 contro James J. Corbett, che vinse dopo ben 21 riprese. I combattimenti si erano mantenuti ad oltranza e l'anno dopo un incontro fu interrotto solo dopo 7 ore e 19 minuti, ovvero ben 110 riprese, ma solo a causa dell'oscurità! Dal 1900, infine, anche questo residuo dei tempi "eroici" scomparve con l'introduzione del sistema di punteggio. Cinque anni dopo, il primo campione del mondo con i guanti, James J. Corbett, che aveva vinto su J. Sullivan per KO, fu sostituito da Bob Fitzsimmons. Si dice che, dopo questa sconfitta, i genitori di Corbett si siano suicidati per la perdita del patrimonio familiare, puntato sulla vittoria del figlio.  In quegli anni la passione per il pugilato era molto intensa e grandi interessi ruotavano intorno ai pugili, mentre i tifosi più accesi facevano baldoria intorno al ring.

A 37 anni, Fitzsimmons perse il titolo contro James Jeffries, che si ritirò imbattuto. Dopo di lui arrivarono Tommy Burns, poi Jack Johnson e, infine, Jess Willard, un gigante paragonabile a Carnera. È il momento di Jack Dempsey, il cui vero nome è William Harrison. La sua storia di campione mondiale inizia con la caratteristica forza che lo contraddistingue, massacrando in sole due riprese il gigantesco Jeffries.   Per citare qualche altro nome, ci sono Firpo, che dopo essere riuscito a scaraventarlo fuori dal quadrato, fu messo fuori combattimento, e Carpentier Tunney, tattico e stilista eccezionale, pur rivelandosi superiore, fu costretto a subire il conteggio per ben 9 secondi. Tunney riuscì a confermare la sua superiorità una seconda volta in un incontro indimenticabile, se non altro per l’incasso di due milioni e mezzo di dollari dell'epoca. Questo pugile è un esempio di come il pugilato possa essere non solo espressione di forza e tenacia, ma anche di intelligenza. Anche europei sono stati campioni del mondo: il tedesco Schmeling, Sharkey e il nostro Carnera. Dopo di loro, arrivarono Max Baer, James J. Braddock, il cui film Cinderella Man è molto famoso e Joe Louis. Come Dempsey, anche Joe Louis Barrow è stato una pietra miliare nella storia del pugilato, grazie a caratteristiche quali la morigeratezza, la serietà e la costanza, che gli hanno permesso di avere una lunga carriera agonistica. Come Dempsey, aveva un vero istinto del pugilato: era un picchiatore aggressivo e veloce, dotato di una tecnica eccellente. Fu anche, bisogna dire, un prototipo della scuola americana, severa, basata sulla potenza, sul gioco di gambe e sull'abilità schermistica.

mercoledì 10 dicembre 2025

AL LADRO AL LADRO

  AL LADRO 

Erano gli anni Sessanta, la tecnologia odierna era ancora lontana e anche il settore tessile era fermo alla pura meccanica; l'elettronica era riservata solo ai militari e ai paesi più avanzati, in particolare agli Stati Uniti d'America. 

Antonio appena uscito dalle scuole tecniche, era stato assunto dalla filiale fiorentina di un'azienda milanese che costruiva macchine rettilinee da maglieria, la CO.M.UT (Costruzione Macchine Utensili). L'acronimo era rimasto quello originario, poiché prima della guerra la fabbrica, il cui titolare era il faccendiere toscano Giorgio Casciani, sorgeva nella zona nord di Milano ed era stata distrutta per metà dai bombardamenti alleati, riducendo così di metà lo spazio produttivo. Ed è per questo motivo che, gioco forza, la CO.M.UT aveva differenziato la sua produzione, passando dalla produzione di torni e affini a quella di macchine rettilinee per maglieria, che aveva chiamato con il nome del marchio delle vecchie macchine utensili: "WAHLT". 

La filiale era subentrata in un negozio già esistente che trattava macchine da maglieria, la "Maglitalia", il cui proprietario, certo Giuliano, aveva un vizietto: il "Campari Soda". Tanto è vero che, per via di questa sua abitudine, gli avevano affibbiato il soprannome. A causa del suo alcolismo, la sua ditta stava andando in malora, quindi il falco predatore di Monsummano Terme, Casciani, venuto a conoscenza delle sue difficoltà finanziarie, la acquistò per un tozzo di pane.

Da Milano, il Casciani inviò a dirigere la nuova filiale un giovane poco più che un ragazzo: aveva solo ventisei anni, undici in più di Antonio, che era il più giovane della ditta. L'uomo era Riccardo Pistoja, figlio di un padre ebreo e di una madre tedesca: un ibrido così improbabile che, nonostante la giovane età, era già un boss navigato. Il Casciani stimava molto il Pistoja, sia per la sua capacità imprenditoriale che per la sua notevole dedizione al lavoro.

Della vecchia Maglitalia erano rimasti nei magazzini una lunga cassettiera piena di pezzi di ricambio per macchine da cucire "Singer", le gloriose Singer nere con le decalcomanie dorate, presenti in quasi tutte le case di allora, e tanti altri accessori: arcolai, bobinatori, paraffina in anelli e in quadretti. Antonio Maoggi fu incaricato di occuparsi della vendita degli accessori e di assistere i clienti, mentre i produttori esterni si occupavano della vendita dei macchinari. 

Dietro al bancone di vendita, nascosto da una finestra scorrevole con il vetro opaco, si trovava l'ufficio dell'amministrazione, guidato dalla signora Luciana Giuliana, figlia dell'ex titolare della Maglitalia e già amministratrice della ditta paterna. La scelta di Pistoja di affidare l'amministrazione a Luciana, nonostante i precedenti del padre, fu strana, ma la donna, oltre a essere molto capace nel suo lavoro, il crack fu causato solo ed esclusivamente dal padre, conosceva bene la storia della vecchia ditta e sapeva muoversi con sicurezza nei contatti con i fornitori e i vecchi clienti. Luciana era coadiuvata da una ragazza un po' più grande di Antonio, Vanna, una vera lavoratrice instancabile, molto attiva, che in pochissimo tempo divenne il suo braccio destro e sinistro.

Gli altri impiegati erano Carlo Casati, un meccanico provetto di macchine per la maglieria, il capofficina, un tarantino di cognome Catapano completamente glabro a causa dell'alopecia, e suo nipote Gianni, un apprendista. Questi uomini lavoravano in un complesso a nord della città, che in precedenza era una vecchia fabbrica di ghiaccio poi adattata a officina. Per il trasporto dei materiali c'era un motocarro chiamato "Ercolino", un motocarro a tre ruote derivato dallo scooter "Galletto" della "Moto Guzzi". L'Ercolino aveva lo sterzo a manubrio, tre marce e tre ridotte, ed era molto potente, in grado di sopportare grossi carichi, non a caso la Guzzi lo aveva battezzato "Ercolino". 

Il motocarrista era Mario Paci, un uomo maturo completamente canuto, che si occupava di trasportare le macchine dall'officina al negozio e di effettuare le consegne esterne, sia di macchine revisionate dall'officina, sia di macchine nuove. Insomma, il Paci era il vero factotum della filiale. 

Insieme a lui, al negozio lavorava anche Franco Scianca, fidanzato di Luciana, che, oltre a essere un addetto alle vendite, era anche un discreto tecnico di macchine da cucire. Tanto è vero che il Pistoja, sempre attento agli affari, volle sfruttare questa sua abilità e iniziò a commerciare, anche queste macchine industriali le "Phoenix", anch'esse destinate ai maglifici. affiancandole alle macchine da maglieria. 

Ma non contento, il manager decise di far marcare delle macchine da cucire molto semplici, destinate alle famiglie. Queste macchine erano prodotte dall'allora fabbrica milanese SAMMA, che le vendeva su richiesta anche neutre, senza nessuna marca. 

Dopo questa operazione, toccava ai più giovani attaccare le decalcomanie ad acqua sulle macchine, trasformandole in macchine WAHLT. 

Poi c'erano le rimagliatrici: a queste ci pensava un ragazzo magro come un deportato di Mauthausen, con il naso aquilino. Insomma, non era un bel ragazzo, ma se gli davi in mano una rimagliatrice fuori fase, dopo pochi minuti Roberto e Franco te la facevano cucire nuovamente alla perfezione. Al banco, essendo l'impiegato preposto, Antonio doveva annotare su una bolletta neutra, le bolle DDT e i registratori di cassa erano ancora di là da venire, la descrizione e l'importo degli articoli venduti. Poi consegnava l'originale al cliente e la copia, fatta con la classica carta carbone, la conservava nel cassetto per consegnarla alla contabilità dopo il controllo serale della cassa. 

Per questo impegno lavorativo, Antonio aveva a disposizione un fondo cassa di 5.000 lire, tutte in moneta spicciola per poter dare il resto, e un bonus di 1.200 lire al mese come rimborso per eventuali ammanchi.

Tutto stava filando liscio come l'olio, finché un giorno, durante il controllo serale della cassa, Antonio si accorse che mancavano duecento lire. Il ragazzo, non essendo molto pratico di conti, pensò di aver dato troppo resto a un cliente, quindi, imbronciato, pareggiò il fondo cassa dal suo bonus. Da quel giorno Antonio fu più attento: ogni volta che dava il resto, ricontava subito i soldi in cassa. Purtroppo, dopo un'altra decina di giorni, mancavano cinquecento lire. Antonio era un ragazzo molto timido e vergognoso, e per non fare brutta figura con il responsabile della filiale, con le lacrime agli occhi e dandosi del cretino, pareggiò ancora una volta la cassa. Dal suo bonus erano già sparite settecento lire, e il suo stipendio arrivava sì e no a cinquantamila lire al mese, quindi il bonus mensile, se non veniva intaccato, era una bella somma da aggiungere alla sua busta paga.

Dopo un mese, però, mancarono mille lire. Allora il poveretto si disse: "Qui c'è qualcuno che fa la pesca di beneficenza nella mia cassetta". Era una cosa abbastanza facile, dato che il boss aveva fornito la chiave dell'ingresso posteriore che dava su una vecchia corte ottocentesca a tutti, riponendo una fiducia immensa nei propri collaboratori. Più che altro, però, lo aveva fatto per permettere agli impiegati che dovevano partire presto per lavoro o rientrare tardi da una missione di non dover più sottostare agli orari del negozio.

La cassa era in una vaschetta a doppio fondo, con gli spicci sopra e la carta moneta sotto, e si trovava nell'unico cassetto del bancone, chiuso a chiave ma con la chiave infilata nella toppa. Antonio, consapevole che tutti potevano accedervi e attingere, prese il coraggio a quattro mani e si mise a rapporto dal direttore, raccontandogli per filo e per segno tutta la sua avventura. 

Pistoja, da vero figlio di buona donna, gli disse di non fare menzione della cosa con nessuno, che avrebbe provveduto lui a fare la sentinella con il Paci oppure il Casati con Antonio, oppure Antonio con lui, Il Casati avendo la dimora nell'officina era uno dei pochi che non aveva accesso alla filiale fuori orario e quindi, riguardo agli ammanchi, aveva un alibi perfetto. Passarono quindici giorni di appostamento, una sera in cui i quattro decisero di fare una pattuglia tutti insieme: Casati, Pistoja, Maoggi e Paci. Avevano deciso di cenare insieme con panini al burro e tonno e acqua minerale gasata, gentilmente offerti dalla moglie del boss.

I quattro stavano scherzando, forse un po' brilli per l'acqua gasata, e avevano anche l'autorizzazione al rutto libero. Infatti, quando era fuori dal suo ruolo di capo, il Pistoja diventava un ragazzaccio scherzoso e simpatico, e si mescolava volentieri a cazzeggiare con il personale. 

Proprio quella sera, mentre le sentinelle si raccontavano barzellette spinte, si bloccarono di colpo perché, verso le 22:00, sentirono dei passi avvicinarsi nel cortile posteriore. Il Pistoja, che non era esattamente magro, anzi tutt'altro, fece un balzo felino e spense le luci. Tutti si acquattarono in silenzio dietro le macchine da cucire e le rimagliatrici, mentre Antonio si nascose dietro una taglia-cuci nuovissima perché gli piaceva molto.

Una chiave stava girando nella toppa e Antonio aveva il cuore in gola, come se fosse stato lui a essere sorpreso a rubare. All'improvviso, la luce si accese nel lungo corridoio, illuminando parzialmente anche la prima parte del negozio e una parte del bancone. 

Sulla porta apparve solo una sagoma, dato che aveva la luce alle spalle. Era il fisico inconfondibile del segaligno Roberto La Corte, che si avvicinò al cassetto della cassa con disinvoltura e molto lentamente, aprendo il cassetto senza fare rumore. Ma non fece in tempo a infilarci le mani dentro, perché la luce centrale si accese di colpo. Antonio non ha mai dimenticato la faccia stralunata del suo collega di lavoro che, balbettando frasi sconnesse, continuava a ripetere: mi spiace, mia spiace!". Il più cattivo con lui fu Mario Paci che, tenendolo per un orecchio e a forza di calci nel sedere, continuando a urlare: "Ladro! Ladro!", lo fece sedere davanti alla scrivania del Pistoja, che impassibile come la statua di Tutankhamon, si mise a sedere ordinando: Antonio mettiti alla macchina da scrivere, che facciamo un verbalino che in effetti era solo una Garrotta per il povero Roberto mentre gli altri due se ne andarono a dormire.

Il Pistoja dettò ad Antonio una verbale capestro, in effetti una vera e propria confessione avvisando Roberto che ancora livido in volto, che se non la firmava lo avrebbe denunciato ai carabinieri, quindi al quel disgraziato non rimase che firmare la sua condanna a morte. 

Roberto con la sua sottoscrizione si era gettato con tutto il corpo nelle grinfie del Pistoja, che non denunciandolo e non licenziandolo, anche perché pragmaticamente non voleva certo perdere un tecnico molto capace, con la sua ammissione di colpa lo avrebbe tenuto per le palle per usare un francesismo, facendolo lavorare completamente al suo servizio sempre e comunque senza sé e senza ma. 

Il Pistoja aveva avuto anche la sua rivincita visto che Roberto forte del suo mestiere, sino ad allora non era stato molto gestibile, anche se aveva un capo molto duro come il Riccardo Pistoja; ma i soldini persi da Antonio andarono in cavalleria visto e considerato che nessuno glieli restituì. 

Passarono gli anni e Antonio, nel frattempo, era partito per il servizio militare assieme a Gianni il nipote di Catapano: uno nell'esercito e l'altro in marina, Gianni il tarantino come quasi tutti i ragazzi che provenivano dalle zone di mare. Nel frattempo, la ditta, grazie a una gestione disinvolta ma sempre lineare e onesta, si era molto ingrandita e gli affari stavano andando alla grande, favoriti dal fatto che gli anni Sessanta erano gli anni d'oro per tutto il settore tessile, in particolare per la maglieria. Un negozio nel centro di Firenze non era più adeguato alla mole di lavoro e alle macchine che vi gravitavano intorno, quindi la filiale si spostò in una zona più a nord, quasi in periferia, più vicina all'officina. La nuova sede disponeva di ampi locali che si adattavano bene alla mole di lavoro che si era creata nel frattempo, causa dell'aumento esponenziale del carico di lavoro, il gerente aveva dovuto effettuare nuove assunzioni. L'amministrazione era stata affidata a un giovane ragioniere meridionale, il ragionier Carboni, e l'ufficio amministrativo poteva contare su due nuove impiegate agli ordini della Vanna, promossa a capo ufficio per i suoi meriti sul campo, poiché nel frattempo Luciana si era licenziata per dedicarsi alla figlia, nata dopo il matrimonio con Franco Scianca dal quale ebbe anche un altro figlio. 

Le due nuove impiegate erano due ragazzine più o meno coetanee: una, Anna era molto timida e silenziosa ed era magra, forse più di Roberto; mentre l'altra, Loretta che aveva una lunga cascata di capelli biondissimi e due occhi chiari come il mare. Conscia della sua bellezza, era molto civettuola.

A causa della partenza per il servizio militare di due ragazzi, Antonio era stato via per quindici mesi, mentre Gianni, essendo in marina, ne aveva fatti addirittura ventiquattro. Perciò, in officina era venuto a mancare un operaio. C'era Carlo Casati, un tecnico esperto, ma il lavoro era aumentato così tanto che fu assunto anche un nuovo apprendista. Per il magazzino, che nel frattempo era diventato enorme, fu assunto un magazziniere, un uomo attempato con un paio di baffi a manubrio di nome Bruno. Era stato raccomandato al boss dalla moglie Giulia, che faceva la maestra magliaia e girava con Carlo Casati quando si consegnavano le nuove macchine: lui si occupava del montaggio e del collaudo, lei invece istruiva le clienti che avevano acquistato una nuova macchina e le aiutava a prendere confidenza con il nuovo strumento, prima che iniziasse la produzione. Giulia non era un'impiegata della filiale, ma veniva pagata a cachet, dato che era una magliaia professionista, viveva del suo lavoro, ed era ben felice degli extra che le venivano.

Oltre al motocarro, la ditta poteva ora contare su una Fiat Millecento familiare affidata al Gerente, che la metteva sempre a disposizione, ma solo per lavoro, guai altrimenti! Era stato acquistato anche un furgoncino Fiat ottocentocinquanta, sul cui pianale potevano stare due macchine, e un altro furgonato, sempre Fiat, sul quale se ne potevano trasportare quattro, che si potevano coprire con un grosso telone fissato con degli elastici ai ganci dello chassis in caso di pioggia. 

Al suo ritorno dalla leva militare, Antonio, che nel frattempo aveva preso la patente, lavorava come aiuto magazziniere e, quando c'erano delle spedizioni da effettuare, si occupava anche delle consegne nelle zone che gli erano state assegnate. L'Umbria e le Marche, dove fungeva anche da venditore, avvalendosi, come i vecchi e i nuovi produttori, di procacciatori d'affari trovati sul posto ai quali veniva elargito un compenso per ogni vendita segnalata. A questo punto, bisogna affermare che Antonio era diventato il pupillo del direttore convinto di averlo fatto diventare un buon venditore partendo da semplice ragazzo di bottega. Antonio era molto diligente e legato al suo lavoro, quindi un fedelissimo su cui si poteva sempre contare. Un giorno, mentre era in sede, il capo lo chiamò nel suo ufficio e iniziarono una conversazione che riportò Antonio indietro nel tempo e che avrebbe voluto evitare:  

Antonio, mi fido di te. Sei un ragazzo a posto e ho bisogno del tuo sostegno, sia psicologico che pratico, per questa operazione. Infatti, abbiamo una nuova serpe in seno: un altro ladro!» 

Non mi dica, signor Pistoja, ancora? 

Purtroppo sì! 

Ti racconto la storiauna mattina è venuta in negozio una cliente che stava servendo il magazziniere. Io ero lì a fumarmi una sigaretta e avevo notato che aveva acquistato: spolette per il bobinatore, paraffina in anelli e olio di vaselina. Quindi, essendo lì vicino, mi è venuto spontaneo chiederle: 

"Signora Cammelli, lei compra tutto da noi, ma per gli aghi ci fa le corna?"  Non, non li andrà mica a comprare dai Fratelli Calosci? Antonio! Lo sai come mi ha risposto? 

No, signor Pistoja, non ne ho la più pallida idea; 

Mi ha risposto che li compra comunque da noi, tramite Mario Paci, perché glieli porta a casa, dato che abita vicino dicendomi inoltre. 

Le scatoline sono piccole e poco pesanti, quindi non lo impegnano più di tanto. Per le altre cose ingombranti, invece, vengo direttamente qui con la mia macchina. 

Hai capito, Antonio, l'antifona? 

Riccardo, sarei stato più contento di non aver capito. Mario ci ruba gli aghi, ma qui non si finisce più. Quello che mi angoscia di più è che è stato lui il più cattivo di tutti quando abbiamo scoperto Roberto in flagrante. 

Guarda, Antonio, non voglio fare il Sigmund Freud della situazione, ma una cosa l'ho capita: prendendo a calci Roberto sono sicuro che voleva punire sé stesso. Chissà quanti accessori ci ha fregato in passato, puttana Eva! Ma ora abbiamo un magazzino regolare con tanto d'inventario, quindi controlliamo dall'ago al cannone e vedrai che risolveremo anche questa nuova e schifosa situazione.

Riccardo Pistoja, da cane da caccia qual era, prese subito in mano la schifosa situazione, dando l'impressione di godere nel fare queste indagini; forse una parte del suo sangue tedesco lo eccitava all'idea di smascherare un altro ladro, mentre l'altra parte di sangue ebreo lo spingeva verso il denaro, anche se non era il suo, essendo anch'egli un super stipendiato da settecentomila lire al mese. 

Una mattina, si recò a casa della signora Cammelli e la minacciò di denunciarla per incauto acquisto, se non fosse stata disposta a collaborare con lui. La signora, terrorizzata dall'idea di una denuncia penale, accettò di acquistare, con i soldi che lui le dette, solo due scatolette di aghi per la sua macchina. In parole povere, cosa altro poteva fare la signora Cammelli, messa alle strette da un uomo che, quando non scherzava, incuteva davvero timore? Figurarsi come si sarebbe dovuta sentire una donnetta di casa, peraltro vedova e che viveva da sola. 

Nel frattempo, il cacciatore di taglie mise Antonio, il magazziniere e Loretta in magazzino e li incaricò di segnare su un foglio bianco tutti i numeri di identificazione applicati con un adesivo sotto ogni scatoletta. Finito il lavoro, fece stilare alla Loretta un verbale con tutti i numeri di matricola degli aghi in magazzino e lo fece firmare da chi li aveva controllati, apponendo poi la sua firma in calce. La povera signora Cammelli, come da istruzioni, chiese a Mario di portarle due scatolette di aghi, per un totale di cinquecento pezzi. Mario, ignaro della trappola che gli era stata tesa, come aveva sempre fatto, andò a consegnargliele.

L'altra parte del piano prevedeva che, una sera prestabilita, il Pistoja si incontrasse con la signora per restituirle le due scatolette acquistate con i soldi anticipati e, in quell'occasione, volle con sé anche il fido Antonio. 

Puntuale, alla data stabilita, la signora arrivò con le scatoline in mano. Il Pistoja la ringraziò della collaborazione, sollevandola dall'ansia che si poteva toccare con mano, e le promise che non avrebbe sporto alcuna denuncia. La signora si accomiatò, dunque, con un grosso sospiro di sollievo.

La povera donna era all'oscuro del furto, fidandosi di Mario. In effetti, non aveva commesso nessun reato, poiché non poteva sussistere l'incauto acquisto. Mario era un dipendente della CO.M.UT e, per la ditta, effettuava le consegne a domicilio. Inoltre, abitava vicino a casa sua, quindi era del tutto plausibile che le riservasse la cortesia di portarle gli aghi a domicilio, visto che era una donna che viveva da sola. 

Appena la signora sbatté la porta degli uffici al primo piano, Pistoja e Antonio si buttarono sulle due scatolette di aghi, anche se non c'erano dubbi: erano il numero 5910.10003 e il 6001.5015. Solo un semplice controllo per avere la totale sicurezza e, come volevasi dimostrare, sulla lista erano lì segnati nero su bianco a testimoniare l'appropriazione indebita, o per meglio dire il furto. Pistoja, questa volta rosso in viso, quasi paonazzo, sbottò con un grido di gola: "L'abbiamo incastrato, quella merda. Ora me lo cucino a puntino io". 

Mentre diceva questo, con un pennarello evidenziatore sottolineò le matricole delle due scatoline e le bloccò con un elastico, posandole sopra il verbale che mise in cassaforte, a futura testimonianza. Bofonchiando frasi sconnesse, disse ad Antonio: 

Per oggi abbiamo lavorato abbastanza andiamo a nanna. 

Con il passare del tempo, Antonio si stava meravigliando perché non stava accadendo nulla, ma si ricordò di alcuni detti del boss, come "mettiti sulla riva del fiume e prima o poi il cadavere del tuo nemico passerà" o "la vendetta è un piatto che va gustato freddo". Quindi, si stava domandando che cosa stesse tramando il Pistoja, ma sicuramente qualcosa di clamoroso, se non addirittura teatrale. 

Non rimase deluso: ancora una quindicina di giorni dopo, sulla bacheca trovò affisso un ordine del giorno con su scritto: "Lunedì prossimo, alle nove del mattino in punto, tutti i dipendenti in ufficio dal ragionier Carboni per un'assemblea generale che ha per scopo il riordino delle mansioni". Ci siamo! Antonio pensando: 

"Voglio vedere fino a che punto vuole spingersi. Questa vendetta mi sembra proprio ghiacciata marmata".

Arrivò anche il fatidico lunedì. L'ufficio del Pistoja non era molto grande, quindi tutti i dipendenti erano in piedi in cerchio. C'erano proprio tutti: impiegati, magazzinieri e persino gli operai dell'officina. Dopo un silenzio lungo e inquietante, che fece venire l'ansia a tutti, compreso Antonio che naturalmente non aveva nulla da temere, il boss, bluffando, si alzò in piedi e, con voce impostata da istrione, disse: "Fra noi c'è uno sporco ladro. I carabinieri sono a casa di ognuno di voi a perquisire le vostre stanze, quindi chi sa di essere lo sporco ladro faccia un passo avanti". 

Antonio, che era l'unico a conoscere tutta la storia, si voltò istintivamente verso Mario Paci. Lo vide sbiancare in volto, quasi piegarsi sulle gambe, si mise le mani sulla faccia e scoppiare in un pianto dirotto. Allora, quello perverso del capo, con voce sempre impostata ma ancor più imperiosa, comandò:

 Mario, lei rimanga, tutti gli altri a lavorare, forza! Siete ancora qui! Via via scansafatiche! 

La radio aziendale, presente in ogni luogo di lavoro, mise al corrente tutti che il Paci aveva firmato volontariamente. Una lettera di dimissioni, con una scrittura privata che pattuiva una cifra più o meno corrispondente al maltolto, e che fu messa nella solita cassaforte insieme a quella di Roberto, che ancora giaceva lì.

La cifra patteggiata fra il Pistoja e il Guerri gli sarebbe stata decurtata dalla liquidazione. Diciamo che, tutto sommato, al Guerri era andata ancora bene.  Sarebbe stata un'infamia se si fosse venuto a sapere che un uomo prossimo alla pensione aveva una denuncia penale che poteva portare a una condanna.  

Questo racconto mette in luce un problema psicologico che forse va oltre la prima interpretazione di Riccardo Pistoja. Io, Antonio Maoggi, in qualità di scrittore di questo racconto e ignorante delle profondità dell'"io" inconscio, credo che chi si accanisce contro ogni forma di devianza che si discosti dalla normalità sociale o dai dettami del Padre Eterno, o chi per lui, che nel suo settimo comandamento fece scrivere a Mosè "Non rubare", se non si tratta di una vera e propria patologia come la cleptomania, che certo non era da imputare ai due galantuomini del racconto, che semplicemente cercavano di arrotondare il loro stipendio pensando di poterla fare franca, ma ignorando del tutto il detto: "Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi".

Forse, ma senza forse, Pistoja da stratega qual era, aveva sicuramente pianificato tutto alla perfezione e nei minimi particolari. Mentre io ho avuto la conferma che chi si accanisce su di un ladro vedi Mario Paci con Roberto La corte, inconsciamente vuol punire il ladro che c’è in lui, cosa confermata solo dopo pochi anni!

Difatti, come poteva pensare Roberto che Antonio non si sarebbe ribellato ai continui ammanchi di cassa? E come poteva pensare che, visto che la passava liscia, forse era diventato troppo ingordo, reiterando più volte il furto? Come poteva pensare che la cosa non sarebbe venuta a galla prima o poi, considerando che conosceva molto bene il boss e aveva avuto modo di constatare in questi casi la sua assoluta risolutezza, quasi maniacale e sadica. 

La mia conclusione è che chi grida "al ladro!" o "fuori i gay!" o "governo corrotto!" a ogni piè sospinto, inconsciamente è un ladro, un omosessuale o semplicemente si chiede: "Se fossi lì alla mangiatoia, lo farei anche io, mica sono più stupido di loro.

2020

LEGENDA

 

Paraffina serviva per quando si facevano le rocche, da un arcolaio a un bobinatore, la lana o il cotone, passavano da sotto un anello di paraffina, questa lubrificazione doveva servire a far passare il filato attraverso la frontura di una macchina da maglieria che cosi lubrificato e in particolare nei periodi invernali, si evitavano strappi e fori nel tessuto a maglia. 

Produttori: allora erano chiamati così i commessi viaggiatori, che a sua volta si servivano di segnalatori di vendita i "procacciatori d'affari" nelle varie zone di competenza. 3)

Rimagliatrici: macchine con un piatto circolare che servivano per attaccare i colli alle maglie, macchine di estrema precisione che erano affidate a lavoranti molto esperte. 

Aghi erano quegli accessori che andavano sulle macchine da maglieria e una macchina ne conteneva dai mille in su, a seconda della lunghezza della frontura, quindi appetibili ai fini della vendita, piccolo contenitore grande costo, La numerazione impressa sotto le scatolette degli aghi indicava: le prime due cifre l'anno di produzione, le seconde due il mese e dopo il punto di fermo, si trattava solo di un numero progressivo di matricola. 

Fratelli Calosci erano concessionari dell'altra macchina da maglieria in concorrenza con la Wahlt e che andava anch'essa forte commercialmente la Coppo. 


mercoledì 3 dicembre 2025


Questo scarabocchio è nato per contrastare i nostri governanti che non nutrono particolare simpatia per i comunisti, ma soprattutto non apprezzano chi non la pensa come loro, che, automaticamente, diventano comunisti per difetto. Purtroppo, noi poveri mortali divoratori di bambini, dobbiamo sopportare tutto questo da parte di chi non ha argomenti.

O PARTIGIANO PORTAMI VIA

Siamo arrivati alla 71ª ricorrenza della Festa della Liberazione e, per una questione meramente anagrafica, io ne ho potute vivere solo 69, essendo nato nel 1942, esattamente tre anni prima. Tuttavia, ne ho preso coscienza solo nel 1947, quando frequentavo la prima elementare, anche se, all'epoca, non ne percepivo appieno il significato.

Nella seconda guerra mondiale ci sono stati dei vincitori e dei vinti, e i buoni e i cattivi sono stati riconosciuti all'unanimità.

Qualcuno, però, si diletta a ogni ricorrenza a revisionare la storia, compresi alcuni compagni della prima ora che, forse perdendo lucidità con il passare degli anni, o forse essendo in malafede, perché sapevano bene che andando un po' contro i loro ideali, ma erano davvero i loro ideali? Hanno potuto vendere tanti libri sulla questione e guadagnare tanti soldi.

Veniamo al dunque: è appurato storicamente che la Resistenza era formata da bande e che il 50% dei combattenti era di fede comunista, mentre l'altro 50% era composto da appartenenti al Partito d'Azione, cattolici, repubblicani e liberali. Quindi, onore a tutti coloro che, con il loro sacrificio, hanno reso possibile l'esistenza, anche se imperfetta e talvolta illiberale, della democrazia. Affermo senza tema di smentita che loro erano i buoni.

Poi c'erano i nazisti che invasero l'Italia prima dell'8 settembre, nonostante l'Italia fosse alleata con il fascismo di Benito Mussolini. Poi ci furono le squadracce fasciste e, dopo l'armistizio del generale Badoglio, la famigerata Repubblica di Salò con i suoi cosiddetti repubblichini, gli irriducibili. A loro va riconosciuto il merito di non aver abbandonato la nave quando stava chiaramente affondando, ma direi che, senza tema di smentita, erano i cattivi. È inutile poi dire che i morti sono tutti uguali: alcuni stavano dalla parte giusta, e gli altri dalla parte sbagliata.

Allora, cominciamo a scandagliare i motivi per cui, a un certo punto della nostra storia, la Resistenza ha cominciato a essere revisionata. Tutto ebbe inizio quando Enrico Berlinguer, all'epoca segretario del Partito Comunista Italiano, portò il suo partito a raggiungere l'adesione record di 11.000.000 di italiani e le regioni, i comuni e le province erano quasi tutte governate dai social-comunisti (P.C.I. + P.S.I.). Tuttavia, il glorioso Partito Socialista Italiano di Matteotti, dopo l'ascesa al potere di Bettino Craxi, iniziò a comportarsi in modo disonesto: infatti, dove la maggioranza era del P.C.I., governavano insieme, ma dove la maggioranza era della Democrazia Cristiana, governavano senza alcun pudore con loro.

Poi, a dileggio della Resistenza, andò in voga l'inno e la genuflessione agli angloamericani, che tuttora rimane. Motivo? Ci avevano liberato, ma dall'altra parte inneggiavano alla Russia di Stalin che aveva liberato l'altra metà dell'Europa. Onore a tutti i caduti per la libertà! Anche se, in seguito, e qui ci vorrebbe un libro per raccontare tutta la storia, avrei tante cose da obiettare sia sugli USA che sull'URSS.

Detto questo, sui partigiani (guarda caso soprattutto della Brigata Garibaldi) è emerso che avevano commesso le più gravi nefandezze, ma sui libri di storia si racconta tutt'altro.


Le Brigate Garibaldi furono delle brigate partigiane legate prevalentemente al Partito Comunista Italiano, operanti nella resistenza italiana durante la seconda guerra mondiale. Ne fecero parte anche esponenti di altri partiti del C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale), in particolare socialisti. Pochi invece erano i componenti legati al Partito d'Azione o democristiani. In realtà, la maggior parte dei combattenti delle Brigate Garibaldi non aveva un'identità politica ben definita. Coordinate da un comando generale diretto dagli esponenti comunisti Luigi Longo e Pietro Secchia, le Brigate Garibaldi furono le formazioni partigiane più numerose e quelle che subirono le maggiori perdite totali durante la guerra partigiana.

 

Giunto a questo punto voglio essere più realista del re, in bande e raggruppamenti di uomini cosi numerosi, che non ci fosse al loro interno qualche malandrino, che magari si approfittava nelle case delle povere donne, che avevano gli uomini al fronte,  oppure rubava qualche pollo non lo si può escludere e nelle nomali condizioni umane, ma sul fatto delle rappresaglie che avvenivano da parte dei nazi-fascisti sulla popolazione inerme,  perché magari avevano subito grosse perdite da parte dei patrioti,  venivano e tuttora vengono imputate ai partigiani perché non si consegnavano (1 a 10), ma pensate solo per un attimo al fatto che se i combattenti avessero ceduto ogni volta al ricatto nazi-fascista la guerra o sarebbe stata persa oppure avrebbe potuto continuare per molto tempo ancora.


Per quanto riguarda la disciplina, essendo molte bande comandate da ex militari, in particolare una che operava in Liguria e che era comandata da "Bisagno", nome di battaglia identico a quello del torrente che attraversa e taglia in due Genova, un fervido cattolico di nome Aldo Gastaldo, che aveva come luogotenente il comunista Giovanni Serbandini (Bini). I due, pur essendo politicamente distanti, andavano in perfetto accordo fra loro, tanto da stilare un codice etico per i loro sottoposti.


 

"In attività e nelle operazioni si eseguono gli ordini dei comandanti, ma poi c'è sempre un'assemblea per discuterne la condotta. Il capo viene eletto dai compagni, è il primo a lanciarsi nelle azioni più pericolose, l'ultimo a ricevere cibo e vestiario e gli spetta il turno di guardia più faticoso. Alla popolazione contadina non si chiede, ma si chiede, e possibilmente si paga o si ricambia, quel che si riceve. Non si importunano le donne e non si bestemmia".


Quindi, come questa brigata, ce n'erano tante altre che imponevano la disciplina. Se poi pensate che uno dei capi del C.N.L. (Comitato di Liberazione Nazionale) è stato Sandro Pertini, poi diventato il nostro presidente più amato, nella conta fra persone per bene e non, il quorum va a vantaggio delle persone per bene e non di uno sporadico ladro di galline.

Un altro falso storico, sempre voluto dalle persone di destra, è che l'Italia sia stata liberata unicamente dagli alleati. Sul fatto che ci abbiano liberati non c'è alcun dubbio, ma  le città più importanti come: Roma, Milano, Bologna e Firenze furono liberate con il valido contributo della Resistenza: questa è storia acclarata.

Per concludere, Bari fu liberata unicamente dai baresi; gli inglesi intervennero solo quando ebbero la certezza che ogni focolaio di resistenza fosse stato annientato. Poi ci furono le quattro eroiche giornate di Napoli, che videro impegnata tutta la popolazione: i napoletani fecero scappare i tedeschi come lepri. Quindi, onore agli alleati, ma anche a Bisagno, che morì in un incidente fortuito e che è stato dichiarato "il partigiano d'Italia"; onore alle città di Bari e Napoli e a tutti i combattenti di ogni confessione e credo politico che hanno dato tanto alla patria e che non devono essere infangati, ma celebrati per qualche secolo ancora.

martedì 2 dicembre 2025

QUESTA NOSTRA PENISOLA


Nonostante mia buona volontà, non riesco a capire l’egoismo di certi partiti nordici che parlano di secessione, ma poi la modificano in base alle regioni buone e a quelle cattive, quando abbiamo visto e toccato con mano che il malaffare, la corruzione, l’ingordigia e la criminalità ci riguardano da Lampedusa fino ai confini con la Svizzera.

 

L'Italia fu unita nel 1891 con un grande spargimento di sangue di giovani risorgimentali, ma fu poi catturata nelle spire malefiche della dittatura fascista, dopo anni di soprusi, manganellate e grandi purghe a colpi di olio di ricino. Un gruppo di giovani di tutti i partiti democratici andò in montagna per aiutare gli alleati a riconquistare il nostro Paese. Ancora una volta, giovani vite furono immolate a questa povera, sacrificata e malgovernata Italia, che nonostante tutto è bella, unica, culla della cultura mondiale, dove sono nati santi, poeti e navigatori, e aggiungo artisti del calibro di Giotto di Bondone, e ingegneri come Galileo Galilei e Leonardo da Vinci, senza per questo voler far torto a tutti gli altri.

Infine, mentre altri paesi sono fieri di appartenere a una bandiera, come gli Stati Uniti che la mettono dappertutto, alcuni di noi vorrebbero bruciarla, ma forse non si sono resi conto di cosa significhi un'Italia unita.

 

La Valle d'Aosta, regione italiana a statuto speciale dell'Italia nord-occidentale con capoluogo Aosta, da cui prende il nome, è una valle francofona con cime innevate e prati ameni (Vallée d'Aoste in francese, Val d'Outa in francoprovenzale, Augschtalann in Töitschuo e Ougstalland in Titsch, Val d'Osta in piemontese). Fa parte dell'Euroregione Alpi-Mediterraneo.

Confina a nord con la Svizzera (i distretti di Entremont, Hérens e Visp nel Canton Vallese), a ovest con la Francia (i dipartimenti dell'Alta Savoia e della Savoia, nella regione Rodano-Alpi), a sud e a est con il Piemonte (le province di Torino, Biella e Vercelli).

È la regione più piccola d'Italia, con 3.263 km² di superficie, nonché quella meno popolata, con 128.021 abitanti, e il suo territorio è quasi completamente montano. Con un PIL pro capite pari a 35.264 €, si piazza al secondo posto nella classifica delle regioni/province autonome d'Italia.

 

Il Piemonte, la regione delle Langhe, del vino buono e del gianduia, è una regione a statuto ordinario dell'Italia nord-occidentale con 4.430.014 abitanti e capoluogo Torino. Confina a ovest con la Francia (regioni Rodano-Alpi e Provenza-Alpi-Costa Azzurra), a nord-ovest con la Valle d'Aosta, a nord con la Svizzera (cantoni Vallese e Ticino), a est con la Lombardia, a sud-est con l'Emilia-Romagna (per meno di 8 km) e a sud con la Liguria. Il Piemonte è la seconda regione italiana per estensione territoriale, dopo la Sicilia, e la sesta per numero di abitanti. È inoltre la quarta regione italiana per esportazioni, con una quota del 10% sul totale nazionale, e la quinta per valore del prodotto interno lordo, con circa 123 miliardi di euro totali, dietro a Lombardia, Lazio, Veneto ed Emilia-Romagna. Il PIL pro capite è superiore alla media nazionale. La regione fa parte dell'Euroregione Alpi-Mediterraneo. È la regione più occidentale d'Italia.

 

La Lombardia (IPA (lombar'dia, Lumbardia in lombardo) è una regione italiana a statuto ordinario dell'Italia nord-occidentale, istituita nella forma attuale nel 1970. Gli abitanti sono 10.001.496 e il territorio è suddiviso in 1.530 comuni, distribuiti in 12 enti di area vasta (11 province e 1 città metropolitana). La Lombardia si posiziona al primo posto in Italia per popolazione e numero di enti locali, al secondo per densità e al quarto per superficie. Il capoluogo è Milano e i confini sono con la Svizzera (Cantoni Ticino e Grigioni) a nord, il Piemonte a ovest, il Veneto e il Trentino-Alto Adige a est e l'Emilia-Romagna a sud. La Lombardia è una delle quattro regioni motori d'Europa, insieme al Baden-Württemberg, alla Catalogna e alla regione Rodano-Alpi. Il toponimo deriva dalla parola Longobardia, utilizzata nell'Esarcato d'Italia per indicare l'area del Paese sotto il dominio dei Longobardi.

Il Trentino-Alto Adige (nome ufficiale Regione Autonoma In seguito all'entrata in vigore del nuovo statuto di autonomia nel 1972, la regione è stata ampiamente esautorata e gran parte delle sue competenze è stata trasferita direttamente al Trentino, corrispondente alla provincia autonoma di Trento, e all'Alto Adige, corrispondente alla provincia autonoma di Bolzano. Questo assetto istituzionale è riconducibile alla diversa composizione linguistica della popolazione: quasi completamente di lingua italiana in Trentino e in maggioranza di lingua tedesca in Alto Adige. Il Trentino-Alto Adige (nome ufficiale: Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol) è una regione italiana a statuto speciale dell'Italia nord-orientale, con 1.051.951 abitanti e capoluogo Trento. Insieme al Veneto e al Friuli-Venezia Giulia, il Trentino-Alto Adige appartiene alla macroarea geografica del Triveneto. Insieme al Tirolo, il Trentino-Alto Adige fa inoltre parte dell'Euroregione Tirolo-Alto Adige-Trentino, un'associazione di cooperazione transfrontaliera istituita nell'ambito dell'Unione europea che accorpa i territori dell'antica Contea del Tirolo.

Il Friuli-Venezia Giulia (Friûl Vignesie Julie in friulano, Furlanija Julijska krajina in sloveno, Friaul-Julisch Venetien in tedesco) è una regione italiana a statuto speciale dell'Italia nord-orientale con 1.227.495 abitanti e capoluogo Trieste. È costituita da due regioni storico-geografiche con caratteristiche culturali diverse: il Friuli e la Venezia Giulia. Il Friuli Venezia Giulia è un caso del tutto singolare tra le regioni italiane: la sua posizione geografica lo pone al confine delle tre principali realtà etnico-linguistiche del continente europeo: la latina, la slava e la germanica. Queste realtà hanno qui dialogato e si sono armonizzate, ma si sono anche scontrate, creando nei secoli molteplici diversità. 

Il Veneto (Veneto in italiano, Vèneto in veneto, Venit in friulano, Veneto in ladino, Venetien in tedesco e Benečija in sloveno) è una regione italiana a statuto ordinario con 4.928.092 abitanti, situata nel nord-est dell'Italia. La sua capitale storica e il suo capoluogo amministrativo è Venezia. Confina a nord con il Trentino-Alto Adige e l'Austria, a sud con l'Emilia-Romagna, a ovest con la Lombardia e a est con il Friuli-Venezia Giulia e il Mar Adriatico. Insieme al Trentino-Alto Adige e al Friuli-Venezia Giulia, il Veneto costituisce la macroarea del Triveneto o delle Tre Venezie. Per oltre un millennio è stata indipendente nell'ambito della Repubblica Veneta, per poi passare sotto il dominio austriaco e francese (1797-1814) e successivamente, nominalmente, sotto il Regno Lombardo-Veneto, sempre sotto l'Impero austriaco. Nel 1866, secondo i termini dell'accordo di pace che seguì la guerra austro-prussiana, il Veneto fu assegnato alla Francia, che lo cedette al Regno d'Italia. È la regione in cui si registra la più alta percentuale di uso del dialetto, tuttora prevalente in famiglia (69,6% contro il 48,5% della media nazionale). In alcuni comuni si parla anche l'emiliano, il friulano, il ladino, il bavarese e il cimbro. Per lungo tempo è stata una terra di povertà ed emigrazione. Dal dopoguerra, a seguito di un notevole sviluppo industriale, è una delle regioni più ricche d'Europa. Grazie al suo patrimonio paesaggistico, storico, artistico e architettonico, è una delle regioni più visitate d'Italia, con oltre 15,7 milioni di visitatori e 63,4 milioni di presenze turistiche all'anno.

La Liguria (Ligùria in ligure) è una regione italiana a statuto ordinario dell'Italia nord-occidentale, con 1.607.878 abitanti e capoluogo Genova.

Bagnata a sud dal Mar Ligure, confina a ovest con la Francia (regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra), a nord con il Piemonte e l'Emilia-Romagna e a sud-est con la Toscana. La regione fa parte dell'Euroregione Alpi-Mediterraneo. Il suo nome deriva dall'antica popolazione dei Liguri, anche se i confini della Liguria antica erano molto più estesi di quelli dell'attuale regione e includevano tutta la pianura piemontese a sud del Po, l'attuale Lombardia sud-occidentale dall'Oltrepò Pavese fino alla confluenza del Ticino nel Po, le zone collinari e montuose del Piacentino, l'attuale Lunigiana e il Nizzardo fino al fiume Varo. Gli attuali confini amministrativi, definiti solo nel 1923, coincidono in gran parte con quelli della storica Repubblica di Genova. Fino al 1860, la circoscrizione amministrativa della Liguria, che dal 1815 faceva parte del Regno di Sardegna, comprendeva anche la provincia di Nizza Marittima, ceduta poi alla Francia in seguito al Trattato di Torino del 24 marzo 1860, con l'eccezione dei circondari di Sanremo e di Porto Maurizio, che entrarono a far parte del Regno d'Italia.

Secondo un luogo comune, la Liguria sarebbe stretta tra il mare e le catene montuose delle Alpi e dell'Appennino, e la regione potrebbe quindi essere ridotta a due fasce costiere: la Riviera di Ponente a est e la Riviera di Levante a ovest di Genova. In realtà, la Liguria comprende anche grandi porzioni di territorio tributario del bacino del Po a nord del crinale alpino-appenninico (circa il 28% della superficie regionale appartiene al bacino padano) e quasi tutto il retroterra marittimo, ovvero il lungo tratto di litorale compreso tra i confini storici con la Francia (Rio San Luigi presso Grimaldi di Ventimiglia) e la bassa valle del Magra nei dintorni di Sarzana e Aulla (MS). Questo confine orientale è tuttavia meno definito, poiché coincide solo in parte con il basso corso del fiume Magra e include parte della piana litoranea di Luni.

Un criterio amministrativo, secondo cui sarebbe da considerare amministrativamente ligure almeno tutto ciò che è posto

a sud del crinale alpino-appenninico nel tratto Grimaldi-Mortola/Passo del Bracco, si sottraggono alcune aree marginali del territorio ligure "fisico" che, per ragioni storico-politiche, appartengono ad altre amministrazioni regionali o statali. È il caso della media e alta valle del Roia, a lungo contesa tra la Repubblica di Genova, il Ducato di Provenza e il Ducato di Savoia, e ora amministrativamente francese, dopo essere stata ligure e piemontese, e delle alte valli dei torrenti Pennavaire e Neva, con i borghi di Alto, Caprauna e Cerisola che, pur rimanendo nella sfera di influenza economico-commerciale della città di Albenga, sono stati a lungo controllati dal Ducato di Savoia e poi inclusi nella provincia di Cuneo. Alla Liguria sono storicamente e linguisticamente legati anche i territori dell'Oltregiogo, in provincia di Alessandria, che comprendono Novi Ligure, Ovada, Arquata Scrivia e parte delle valli Orba, Lemme, Scrivia, Borbera e Spinti. L'Oltregiogo faceva parte della Repubblica di Genova fino al 1797, poi della Repubblica Ligure fino al 1805 e, dopo la restaurazione, della Provincia di Novi, che faceva parte della Divisione di Genova. Fu annesso al Piemonte dopo il decreto Rattazzi del 1859. L'isola di Capraia, invece, faceva parte della Liguria fino al 1925 e dell'Arcidiocesi di Genova fino al 1977. La Liguria è una regione di grande richiamo turistico, grazie alle sue bellezze antropiche e naturali. Tra queste, spiccano la Riviera dei Fiori a ponente e, a levante, Portofino, le Cinque Terre e Porto Venere.

L'Emilia-Romagna è una regione italiana a statuto ordinario dell'Italia nord-orientale, con 4.449.072 abitanti. È stata costituita ufficialmente il 7 giugno 1970 e il suo capoluogo è la città metropolitana di Bologna.

Confina a nord con la Lombardia e il Veneto, a ovest con la Lombardia e il Piemonte, a sud con la Liguria, la Toscana e le Marche, nonché con la Repubblica di San Marino, mentre a est è bagnata dal Mar Adriatico. L'Emilia-Romagna è costituita dall'unione di due regioni storiche: l'Emilia, che comprende le province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Ferrara e la maggior parte della città metropolitana di Bologna, e la Romagna, che comprende le province di Ravenna, Rimini e Forlì-Cesena, nonché i comuni della città metropolitana di Bologna situati a est del torrente Sillaro.

La Toscana è una regione italiana a statuto ordinario con 3.704.152 abitanti, situata nell'Italia centrale, il cui capoluogo è Firenze. Confina a nord-ovest con la Liguria, a nord con l'Emilia-Romagna, a est con le Marche e l'Umbria e a sud con il Lazio. Ad ovest, i suoi 397 km di coste sono bagnati dal Mar Ligure nel tratto centro-settentrionale, tra Carrara (foce del torrente Parmignola, confine con la Liguria) e il golfo di Baratti, e dal Mar Tirreno nel tratto meridionale, tra il promontorio di Piombino e la foce del Chiarone, confine con il Lazio. Il capoluogo regionale è Firenze, la città più popolosa (377.207 abitanti), nonché principale centro storico, artistico ed economico-amministrativo. Le altre città capoluogo di provincia sono: Arezzo, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa, Pisa, Pistoia, Prato e Siena. La Toscana amministra anche le isole dell'Arcipelago Toscano e una piccola enclave situata entro i confini dell'Emilia-Romagna, in cui si trovano alcune frazioni del comune di Badia Tedalda. Il nome è antichissimo e deriva dall'etnonimo usato dai Romani per indicare la terra degli Etruschi: "Etruria", poi trasformato in "Tuscia" e successivamente in "Toscana". I confini dell'odierna Toscana corrispondono in linea di massima a quelli dell'antica Etruria, che comprendeva anche parti delle attuali regioni Lazio e Umbria fino al Tevere. Fino al 1861 è stata un'entità indipendente nota come Granducato di Toscana. Da allora ha fatto parte del Regno di Sardegna, del Regno d'Italia e, oggi, della Repubblica Italiana. In epoca granducale aveva anche un inno, composto dal fiorentino Egisto Mosella e intitolato La Leopolda. La festa regionale, istituita nel 2001, si celebra il 30 novembre, in ricordo del giorno in cui, nel 1786, la pena di morte fu abolita nel Granducato di Toscana.

L'Umbria (Umbria) è una regione dell'Italia centrale con circa 895.259 abitanti, situata nel cuore della penisola. Con una superficie di 8.456 km² (6.334 km² nella provincia di Perugia e 2.122 km² in quella di Terni), è l'unica regione italiana non situata ai confini politici o marittimi del Paese ed è l'unica regione dell'Italia peninsulare non bagnata dal mare. È attraversata dal fiume Tevere e comprende il lago Trasimeno, il lago di Piediluco, i fiumi Chiascio, Nera, Corno e Topino, nonché le Cascate delle Marmore. Il capoluogo regionale è Perugia. Confina a est e a nord-est con le Marche, a ovest e a nord-ovest con la Toscana e a sud e a sud-ovest con il Lazio. Inoltre, la regione comprende un'enclave confinante con le Marche che appartiene al comune di Città di Castello. L'Umbria è caratterizzata da dolci e verdi colline e da città e insediamenti ricchi di storia e tradizioni. La regione era abitata già in epoca protostorica dagli Umbri e dagli Etruschi, per poi diventare parte dell'Impero romano. In seguito, è entrata a far parte anche del territorio dello Stato Pontificio.  

Le Marche sono una regione italiana dell'Italia centrale con 1.545.098 abitanti, capoluogo Ancona e affacciata a est sul Mar Adriatico. A ovest, l'Appennino umbro-marchigiano segna il confine con la Toscana, l'Umbria e il Lazio; a nord, la regione confina con l'Emilia-Romagna e la Repubblica di San Marino, mentre a sud si affaccia sull'Abruzzo. Le Marche sono caratterizzate da una forte propensione alla pluralità, come sancito dallo stesso plurale del nome, che ne sottolinea l'unità fondamentale pur nella ricchezza di aspetti locali: l'autonomia di ogni zona è paradossalmente il fattore maggiormente unificante. In effetti, la regione si distingue per una forte omogeneità: il paesaggio agrario, caratterizzato da piccoli appezzamenti delimitati da querce, derivante dalla mezzadria; il carattere laborioso, temperato e riservato degli abitanti; la dimensione urbana di ogni centro abitato, per quanto piccolo; una storia di autonomie parallele; una singolare ricchezza di artisti e studiosi celebri; un modello economico-imprenditoriale  tipico ed esemplare.

Il Lazio è una regione italiana a statuto ordinario dell'Italia centrale, seconda regione più popolosa d'Italia dopo la Lombardia, con 5.889.649 abitanti, e con capoluogo Roma. Confina a nord-ovest con la Toscana, a nord con l'Umbria, a nord-est con le Marche, a est con l'Abruzzo e il Molise, a sud-est con la Campania e a ovest è bagnata dal Mar Tirreno. Al suo interno si trova la piccola enclave della Città del Vaticano. In epoca antica, il termine Latium indicava il territorio compreso tra il basso corso del fiume Tevere, i Monti Ausoni nei pressi di Terracina e l'Appennino centrale come limite orientale. Ufficialmente, la Regione Lazio, come quasi tutte le regioni italiane a statuto ordinario, è stata istituita il 7 giugno 1970 con l'elezione dei Consigli Regionali. 

Abruzzo e Molise (o, impropriamente, Abruzzo e Molise) era una delle regioni previste dall'articolo 131 della Costituzione italiana nella sua stesura originale. La regione, che si estendeva per circa 15.191 km² e comprendeva gli attuali Abruzzo e Molise, non fu mai attuata, poiché con l'articolo 1 della legge costituzionale n. 3 del 27 dicembre 1963, che istituiva la Regione Molise, il testo costituzionale fu modificato, tornando di fatto a separare quest'ultima dall'Abruzzo.

La Campania è una regione italiana a statuto ordinario dell'Italia meridionale, con 5.869.029 abitanti (terza regione per numero di abitanti e prima per densità). Incuneata tra il Mar Tirreno a ovest e l'Appennino meridionale a est, la regione confina a nord-ovest con il Lazio, a nord con il Molise e a est con Puglia e Basilicata. Oltre al capoluogo di regione, Napoli, le città capoluogo di provincia sono Avellino, Benevento, Caserta e Salerno. La Torre del Consiglio Regionale della Campania si trova nel centro direzionale di Napoli, progettato da Kenzō Tange. L'entroterra era abitato già nel III millennio a.C. da popolazioni sannite, osche e volsche. A partire dall'VIII secolo a.C., lungo la costa si svilupparono diversi insediamenti di popolazioni di civiltà greca, dai quali ebbero origine le colonie magnogreche di Pithecusa, Cuma, Parthenope, Neapolis e Poseidonia. L'area costituì anche l'estremo limite meridionale dell'espansione etrusca.

L'interno, invece, rimase abitato dalle stirpi dei Sanniti. Nella seconda metà del IV secolo a.C., con le guerre sannitiche, la regione fu posta sotto l'influenza di Roma che la ribattezzò Campania Felix, in riferimento alla sua prosperità. Con il tramonto della civiltà romana, l'unità politica della regione si disgregò e, a partire dal V secolo, gran parte di essa finì sotto l'influenza longobarda, mentre una parte minore rimase sotto quella bizantina.  Solo nel X secolo, con l'ascesa della dinastia normanna, la regione, insieme a gran parte dell'Italia meridionale, trovò un'unità politica sotto la corona del Regno di Sicilia. Dal XIII al XIX secolo, nonostante il susseguirsi delle dinastie angioine, aragonesi e borboniche, il Regno di Napoli, e in particolare la sua capitale e la sua corte, divennero uno dei principali poli culturali, artistici ed economici d'Europa. La marginalizzazione dell'area, seguita all'Unità d'Italia, è alla base del declino economico e sociale che si registra dalla seconda metà del XIX secolo, usualmente indicato con la locuzione "questione meridionale".

La Campania vanta sei siti insigniti del titolo di Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO, più di ogni altra regione italiana, tra cui il centro storico di Napoli, il più vasto del Vecchio Continente. In Campania si trovano cinque dei primi venti siti italiani più visitati nel 2013, secondo il Ministero dei beni e delle attività culturali.

La Basilicata, o Lucania (quest'ultima fu la denominazione ufficiale dal 1932 al 1947), è una regione italiana a statuto ordinario dell'Italia Meridionale con 575.993 abitanti e capoluogo Potenza. È costituita dalle province di Potenza e Matera. Oltre ai due capoluoghi, gli altri centri principali sono Melfi, Pisticci e Policoro. Confina a nord e a est con la Puglia, a ovest con la Campania e a sud con la Calabria. A sud-ovest è bagnata dal Mar Tirreno e a sud-est dal Mar Ionio.

La Puglia, in latino Apulia e in greco antico Iapyghia, è una regione italiana dell'Italia Meridionale con 4.087.758 abitanti e capoluogo Bari. Confina a nord-ovest con il Molise, a ovest con la Campania e la Basilicata e a est e a nord è bagnata dal Mar Adriatico, mentre a sud dal Mar Ionio. Comprende la città metropolitana di Bari (capoluogo) e le province di Foggia, Barletta-Andria-Trani, Taranto, Brindisi e Lecce. La Puglia è la regione più orientale d'Italia: il punto più a est è Punta Palascìa (Otranto), a 72 km da Capo Linguetta, la punta più settentrionale della Penisola del Karaburun in Albania, e a 78 km dall'isola greca di Fanò. La prima entità statale d'Italia che prese il nome di Langobardia o Longobardia si trovava nel sud della penisola e comprendeva principalmente la Puglia; era un territorio governato dai Bizantini (thema) con capitale Bari.

  

La Calabria, chiamata Calàbbria in calabrese, Καλαβρία in greco e Kalavrì in albanese, è una regione dell'Italia meridionale con 1.978.133 abitanti e il capoluogo è Catanzaro. Confina a nord con la Basilicata e, a sud-ovest, è separata dalla Sicilia da un braccio di mare; è bagnata a est dal Mar Ionio e a ovest dal Mar Tirreno. Data la difficoltà di raggiungerla via terra, in passato la regione era conosciuta anche come la "terza isola" d'Italia.

 

La Sicilia, in siciliano Sicìlia, in arbëreshë Siçillja, in gallo-italico Səcəlia, in greco Σικελία, è una regione italiana autonoma a statuto speciale di 5.089.386 abitanti, con capoluogo Palermo. Il territorio della regione è costituito quasi interamente dall'isola omonima, la più grande isola italiana e del Mediterraneo, nonché la 45ª isola più estesa al mondo, e dalle isole Eolie, Egadi, Pelagie, Ustica e Pantelleria. È la regione più estesa d'Italia e il suo territorio è suddiviso in 390 comuni, a loro volta ripartiti in nove province. È l'unica regione italiana che può vantare due città fra le dieci più popolose del Paese: Palermo e Catania. È bagnata a nord dal Mar Tirreno, a sud dal Mar di Sicilia, a est dal Mar Ionio e a nord-est dallo stretto di Messina, che la separa dalla Calabria. Le più antiche tracce umane nell'isola risalgono al 12.000 a.C. circa. In era protostorica fiorirono culture dette di Thapsos, di Castelluccio, di Stentinello. Popoli provenienti dal continente o dal Mediterraneo vi si insediarono successivamente: tra essi i Sicani, i Siculi e gli Elimi. L'VIII secolo a.C. vide la Sicilia colonizzata dai Fenici e dai Greci e nei successivi 600 anni divenire campo di battaglia delle guerre greco-puniche e romano-puniche. L'isola venne così assoggettata dai Romani e fu parte dell'impero fino alla sua caduta nel V secolo d.C.

Fu quindi terra di conquista e, durante l'alto medioevo, fu soggiogata dai Vandali, dagli Ostrogoti, dai Bizantini, dagli Arabi e dai Normanni. Sotto gli ultimi nacque il Regno di Sicilia, che durò dal 1130 al 1816 e che fu successivamente subordinato agli Aragonesi, al Sacro Romano Impero e, infine, ai Borbone, sotto i quali si trasformò nel Regno delle Due Sicilie. La Sicilia fu annessa al Regno d'Italia nel 1860, in seguito alla spedizione dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi, durante il Risorgimento. Nel 1946, la Sicilia, costituita in regione autonoma a statuto speciale, aveva già un proprio parlamento, ancor prima della nascita della Repubblica italiana.

La Sardegna (Sardigna in sardo, Sardhigna in sassarese, Saldigna in gallurese, Sardenya in algherese e Sardegna in tabarchino) è la seconda isola più estesa del Mar Mediterraneo. La sua posizione strategica al centro del Mediterraneo occidentale e la sua ricchezza mineraria hanno favorito, nell'antichità, il suo popolamento e lo sviluppo di traffici commerciali e scambi culturali con i popoli rivieraschi. La Sardegna, insieme alle isole e agli arcipelaghi che la circondano, costituisce l'intero territorio amministrativo della Regione Autonoma della Sardegna, la cui denominazione ufficiale è Regione Autonoma della Sardegna/Regione Autònoma de Sardigna. Con una superficie di 24.100 km² e 1.661.723 abitanti, distribuiti in 8 province e 377 comuni, la Sardegna è la terza regione italiana per estensione, ma si colloca all'undicesimo posto per popolazione. Lo Statuto speciale, sancito dalla Costituzione del 1948, garantisce l'autonomia amministrativa delle istituzioni locali a tutela delle peculiarità geografiche e linguistiche. Ricca di montagne, boschi, pianure, territori in gran parte disabitati, corsi d'acqua, coste rocciose e lunghe spiagge sabbiose, l'isola è stata definita, per la varietà dei suoi ecosistemi, un micro-continente. In epoca moderna, molti viaggiatori e scrittori hanno esaltato la sua bellezza, rimasta incontaminata almeno fino all'età contemporanea, nonché il suo paesaggio, che ospita le vestigia della civiltà nuragica.

 Fatto questo excursus, mi sento: aostano, torinese, milanese, triestino, trentino, veneziano, genovese, bolognese, fiorentino, perugino, anconetano, romano, napoletano, barese, potentino, catanzarese, palermitano e cagliaritano, perché così l’Italia mi è stata consegnata e così voglio che rimanga, poiché è stata costruita faticosamente con sudore e sangue.

Abbiamo 8.000 km di costa, montagne, laghi, verdi prati, zone metropolitane e zone impervie e selvagge. Abbiamo città d’arte come Firenze e Venezia, visitate da milioni di turisti provenienti da ogni parte del mondo. Abbiamo città come Roma, Palermo e Bari, che fanno parte della storia dell’umanità ancor prima della nascita di Cristo. Abbiamo cattedrali clamorose come quelle di Milano, Orvieto, Trani e Spoleto, torri meravigliose come la Mole Antonelliana, la torre degli Asinelli e San Gimignano, in provincia di Siena, chiamato il sito dalle cento torri. Abbiamo due gallerie meravigliose: quella di Milano e quella di Napoli. Cosa vogliamo di più? Abbiamo i nostri artigiani, stilisti, professionisti e operai, apprezzati in tutto il mondo. In America si vestono Armani, i nostri architetti, come Renzo Piano, hanno realizzato strutture in tutto il globo e i nostri operai hanno costruito la diga di Assuan, per non parlare di altro.

Concludo dicendo che non siamo secondi a nessuno. Se solo riuscissimo a scrollarci di dosso questi politici corrotti, ignoranti e imbecilli, che hanno l’arroganza del potere, e se potessimo annullare come per incanto la malavita organizzata, la corruzione dilagante e l’evasione fiscale, saremmo il paese più ricco del mondo, oltre che il più bello.

 

Viva l'Italia!

Viva il 25  Aprile 2015